ATHLETIC CLUB: Simón; De Marcos (87' Lekue), Nuñez (62' Vivian), Paredes, Berchiche; De Galarreta (62' Prados), Jauregizar; Berenguer, , Gómez (62' Sancet ), N. Williams (80' I. Williams); Sannadi. All. Valverde BARCELONA: Peña; Garcia, Cubarsí, Araujo (64' Christiansen), Balde (80' Martin); Fermin, Pedri (80' De Jong), Gavi; Yamine Lamal, Lewandowsi (88' Pau Victor), Raphina (64' Olmo). Flick (80: gli higlights di Athletic Club - Barcelona Finisce il campionato con una serata amarissima a San Mamés. Una partita che doveva essere festa e orgoglio, si trasforma lentamente in una specie di malinconia strana, fatta di occasioni sprecate, addii emozionanti e un avversario che, pur senza nulla da chiedere alla classifica se non con l’obiettivo di 100 gol in Liga, fa la voce grossa. L’Athletic parte fortissimo: nei primi 15 minuti il pallone è praticamente solo biancorosso. Al quinto minuto, Unai Gómez segna, ma il VAR cancella tutto per fuorigioco di Berenguer. Sarebbe stato l’inizio perfetto. Invece, pochi minuti dopo, il castello crolla: cross teso dalla sinistra, Lewandowski si libera con troppa facilità e fa 0-1. Passano quattro minuti e arriva la fotocopia: ancora il polacco, ancora troppo spazio in area, ancora rete. 0-2 e gelo. Maroan Sannadi potrebbe subito riaprirla, ma allunga troppo il pallone e calcia a lato con un xG vicino all’impossibile: 0.99. Era fuorigioco, ma la sensazione di occasione buttata resta. L’Athletic ci prova, ci crede, ci sbatte, come nel suo DNA,ma Maroan si divora un altro gol a pochi minuti dall’intervallo: De Marcos gli serve un cioccolatino solo da scartare ma l’attaccante manda incredibilmente a lato. Sarebbe stato il suo ultimo regalo in maglia zurigorri. Il primo tempo finisce con un po’ di nervosismo, più cuore che ordine, con i giocatori che non tolgono mai la gamba. Ma il doppio svantaggio pesa come una pietra. La ripresa si apre ancora con un’occasione per Maroan, e poi Nico va vicino al gol con un tiro a lato di un niente. Al 71’ l’episodio che avrebbe potuto riaprire tutto: punizione dalla fascia, deviazione di Cubarsí e traversa clamorosa. Autogol evitato per centimetri. Poi, poco o nulla. Tanta lotta, pochi guizzi. La partita si spegne lentamente. All’88’ esce Oscar De Marcos. La sua ultima volta da calciatore dell’Athletic. Applausi, commozione, abbracci. Più forti del risultato, più forti di tutto. Eskerrik asko, Oscar. Per sempre uno di noi. C’è tempo solo per un rigore nel recupero, assegnato dal VAR con grande puntualità. Dani Olmo lo trasforma, Unai Simón intuisce ma non basta. 0-3 e fischio finale. Finisce così. Una Liga comunque orgogliosa, piena di emozioni, partite intense, momenti da ricordare. Ma stasera fa male. Perché c’era la voglia di chiudere meglio, di chiudere con il sorriso, di salutare il capitano con una festa. Oscar De Marcos. L’ultimo cambio della partita, il primo nei cuori. Dopo 16 stagioni consecutive con la maglia dell’Athletic, saluta il calcio giocato. Un capitano silenzioso, un esempio costante, dentro e fuori dal campo. Mai una parola fuori posto, mai un gesto sopra le righe. Ha corso per tutti, ha lottato per tutti, ha messo la squadra sempre davanti a tutto. Ha incarnato lo spirito zurigorri come pochi altri prima di lui. L’uscita all’88° minuto, in piedi, tra gli applausi di San Mamés, è stata la sua ultima cavalcata. Ma il suo nome resterà inciso nella storia, nel cemento, nei cori. È stata una stagione dolceamara. Da un lato non si può che essere soddisfatti: quarto posto in Liga e ritorno in Champions League dopo dieci anni, una semifinale europea che ci ha riportato là dove questo club merita di stare, in alto, tra i grandi. Ma resta anche l’amaro in bocca. Perché un’occasione così, di giocare una finale europea in casa, forse non si ripresenterà più. E visto com’è andata, resta la sensazione di aver sprecato qualcosa di irripetibile. Era alla portata, e lo sapevamo, ma forse in fondo in fondo, doveva andare così. La storia dell'Athletic non è una storia piena di successi, è una storia d'amore infinito tra un popolo e la sua gente, amore incondizionato e rappresentato in campo da undici ragazzi che non sono altro che membri delle famiglie di ciascuno di noi. Noi di Bilbao nasciamo dove vogliamo. Luca Blasetti